Visita al forte di Oga

16 Settembre 2019

Durante il mio cammino in Valtellina sono stato in un luogo, un museo, in cui non ero mai entrato: il forte di Oga, o ex forte Venini.
Si tratta di un forte militare di grande valore storico, che sorge al Dossaccio di Oga nel comune di Valdisotto, in una posizione dominante e strategica su Bormio, sulla Valdidentro e sulla strada per il passo dello Stelvio.
Visitare il forte, oggi trasformato in un bellissimo museo, significa fare un viaggio nel tempo evocativo e drammatico. In un istante si è catapultati a inizio Novecento, quando la Valtellina, l’Italia, le Alpi, l’Europa e il mondo intero furono travolti dalla Prima Guerra Mondiale.

Ma per scoprire tutto quello che offre il forte di Oga, vi rimando al sito ufficiale del museo, dove trovate le informazioni necessarie per una visita.
Nel frattempo io, soltanto per voi che frequentate Tomis e sperando di farvi una bella sorpresa, anticipo con piacere un breve passaggio tratto dal mio prossimo libro Il mio viaggio in Valtellina – in uscita tra fine novembre e inizio dicembre 2019 per Lyasis edizioni di Sondrio – che parla proprio della visita al forte durante il cammino.

Dunque, buona – breve – lettura!

Il forte di Oga era inserito nella cornice della Riserva naturale del Paluaccio, una tipica torbiera alpina sviluppatasi in un bosco ameno di conifere e prati, con rare specie di muschi.
Raggiunsi l’entrata del museo del forte passando accanto a vecchi cartelli di colore verde militare che avvisavano del divieto di addentrarsi nel bosco: Pericolo! Non attraversare i reticolati.
Poi aprii la porta della sala adibita a biglietteria e a piccola libreria. Mi lasciai avvolgere dal calore che c’era all’interno e chiacchierai qualche minuto con il ragazzo seduto al computer, dietro il bancone.
Chiesi il permesso di lasciare lo zaino accanto al calorifero e le scarpe da trekking all’esterno a prendere aria, e infilai le ciabatte. […]

Nel forte patii lo stesso gelo che credo avessero patito i soldati che avevano vissuto nella struttura, visto che da quello che scoprii la caldaia a carbone era sottodimensionata rispetto alla grandezza della costruzione e la dispersione del calore era sempre stata alta, così come non erano mai stati efficaci i caloriferi installati alla fine degli anni Trenta.
Accelerai il passo per provare a dominare il freddo, senza perdermi le bellezze del museo, crudeli e impressionanti come ogni racconto di guerra.
Dal cortile interno potei accedere alle sale della vita quotidiana dei soldati, con le cucine dove ritirare il rancio con la gavetta, le camerate per riposare a fine servizio dopo aver depositato le armi in armeria e le latrine per garantire le minime condizioni di igiene; poi passai ai locali destinati alla guerra, con i depositi di armi dove tenere le granate e i traccianti e con la polveriera con l’esplosivo in cui si accedeva solo in zoccoli di legno per evitare eventuali scintille causate dalle suole chiodate delle scarpe; infine, raggiunsi il primo piano dove c’erano la sala degli ufficiali – da cui avvenivano l’invio, la trasmissione e l’esecuzione dei comandi – e le cupole corazzate ruotanti con i cannoni, che avevano una gittata massima di quasi tredici chilometri, in grado di coprire la distanza che separava dal confine dell’Impero Austro-Ungarico…

(La fotografia che accompagna il post è tratta dal sito del forte di Oga)