Val Gerola: selvaggia e autentica

2 Giugno 2020

Tra le valli che ho attraversato durante il mio cammino in Valtellina, quella che più di tutte mi ha lasciato bei ricordi è stata senza dubbio la val Gerola.
Selvaggia e impervia, silenziosa e quasi intatta, ricca di storia e cultura, la valle del Bitto di Gerola – seppur visitata in una sola giornata e di conseguenza senza aver potuto approfondire dal vivo le sue peculiarità, ma affidandomi alle sensazioni e alle mie conoscenze della provincia – mi è sembrato un luogo che è riuscito a contenere la forza dirompente e spesso distruttrice del progresso.
In poche parole, ai miei occhi è apparsa una valle che non ha sottomesso il territorio, l’ambiente e la vita dei residenti al turismo di massa. E questo aspetto, in confronto ad altre realtà della Valtellina, riempie di speranza per il futuro di alcune nostre valli.

Così, il giorno della tappa in val Gerola, la più dura del cammino sia per distanza e sia per dislivello, arrivato alle porte di Gerola Alta ho provato le sensazioni poi riportate nel libro Il mio viaggio in Valtellina, pubblicato da Lyasis edizioni:
Sebbene nel paese si riconoscessero alcuni accenni di modernità dovuti al turismo, come gli altri della val Gerola, a prima vista mi sembrò a misura d’uomo e ancora intatto nella sua identità. I dintorni erano verdi e freschissimi, con un fascino che restava quello originario, e nell’insieme le strutture di recente costruzione non avevano rovinato l’idillio tipico di un piccolo paese di montagna (…).

Poi, nei paragrafi successivi, ragionando sull’impatto economico e ambientale del turismo sui paesi della provincia, sono giunto a queste conclusioni:
Pensai che in valle c’era senz’altro chi si lamentava del fatto che lì il turismo di massa non riusciva a prendere piede e che, in confronto ad altre località della Valtellina – Livigno e Bormio su tutte –, alla val Gerola restassero le briciole.
Ma pensai anche che, proprio come me, qualcun altro avesse realizzato come, nel medio e lungo termine, queste briciole potessero rivelarsi la vera ricchezza della valle – e non tanto sotto forma di denaro.
Forse, in un futuro non così lontano, quelle che apparivano come delle mancanze agli occhi di chi faceva turismo – infrastrutture moderne, divertimenti sfrenati, marketing esasperato, offerte variegate per la vacanza – avrebbero potuto rivelarsi un punto di forza: questo avrebbe significato una natura quasi intatta e indipendente dal modello di sviluppo cittadino; un isolamento cercato e un’assenza di frenesia in cui le persone avrebbero potuto soddisfare il loro benessere interiore; una tipicità fatta di agricoltura, artigianato, commercio e ospitalità familiare; una sobrietà di comportamenti che poteva finalmente farci sentire essere umani e non solo consumatori o turisti; e in generale, una montagna che ambiva a essere semplicemente se stessa e a offrire niente di più e niente di meno che se stessa, senza inseguire esempi a lei estranei.

Ma, purtroppo, vista l’espansione frenetica e irreversibile di molti paesi guidata da amministratori locali tutt’altro che lungimiranti, questi ragionamenti e speranze possono valere soltanto per alcune località, non certo per altre. Non valgono, per esempio, per il mio paese, ormai diventato una cittadina circondata da montagne, in balia del proprio destino di stazione turistica di massa orientata al culto esasperato del profitto e priva di una visione a lungo termine basata sulla tutela della sua vera ricchezza, il territorio.
Proprio per questo, non può che piangermi il cuore per tutto quello che stiamo perdendo a Livigno e non posso che guardare altrove, come alla val Gerola, per trovare tracce di una montagna autentica.

(Ho scattato personalmente la fotografia che accompagna il post durante la tappa del mio cammino in val Gerola, il 13 maggio 2019)