Quando Livigno restava isolato

2 Dicembre 2023

Quando succede che Livigno resta isolato, non posso che pensare al passato. Non posso che pensare a come la vita quotidiana dei nostri bisnonni fosse subordinata alla natura e ai suoi sfoghi, senza intromissioni esterne.
Non c’era nessuno che decideva di chiudere i valichi per ragioni di sicurezza, non c’erano villeggianti che restavano bloccati in paese, non c’erano esplosioni in quota per provocare valanghe e non c’erano arroganti rombi di motore che portavano la neve chissà dove per liberare lo spazio vitale dell’uomo. Come se lo spazio di una valle sia a uso esclusivo della nostra specie.

Quando Livigno restava isolato il progresso e la civiltà umana battevano in ritirata, si sottomettevano al cielo e alla terra, e i montanari di allora – i veri montanari, perché oggi siamo tutti cittadini che vivono in montagna – non facevano altro che aspettare che la natura tornasse alla sua normale attività.
Si preoccupavano, certo, probabilmente pregavano e senz’altro si davano da fare con i badili. Ma non facevano drammi per la neve caduta, non si agitavano più del dovuto e grazie a Dio non vivevano l’epoca che trasforma una nevicata abbondante in un fattore di marketing.
I nostri avi accettavano le decisioni della natura come parte della loro esistenza, come parte vitale del luogo in cui vivevano e come normali accadimenti ciclici che scandivano le stagioni. E passato il momento, si rimettevano a pensare alle faccende quotidiane.

Così, quando succede che Livigno resta isolato, non posso che pensare a persone come il Cantoni, che in inverno cercava il modo di tenere pulito il sentiero per uscire da Livigno e Trepalle, con il suo cavallo e la sua slitta. O al giovane Sandrino, vittima di un incidente che gli ha mozzato di netto una mano mentre lavorava alla pulizia della strada del Foscagno, quel giorno capace di sciare, solo e dolorante, verso l’ospedale di Bormio. O al nonno Bepín, che per decenni ogni mattina all’alba misurava lo strato di neve sul fondovalle, un compito che prendeva molto seriamente, per poi comunicare il risultato al Centro Nivometeorologico. Oppure penso all’ostetrica Raisoni, che a metà Ottocento era una figura fondamentale in paese, più del medico condotto, del prete o del sindaco, e portava sulle spalle il peso della vita e della morte, in inverno e in estate.

Ecco perché pensare a quando Livigno restava isolato mi fa dire che per i montanari di oggi – o meglio, per i cittadini che vivono in montagna – c’è ancora futuro.
Non auspico certo un ritorno al passato, non avrebbe senso. Però sono convinto che il ritorno ad alcuni valori del passato, la semplicità, il buon senso e la sobrietà su tutti, migliorerebbe il presente: ci renderebbe degni di vivere una valle di montagna per quella che è, senza che il turismo e gli esperti del turismo continuino a trasformarla in quella che non potrà mai essere. Senza continuare a credere che rincorrere l’illusione della montagna moderna sia l’unico sentiero percorribile.

(La foto che accompagna il post è di Enzo Bevilacqua ed è tratta dalla pagina Facebook di Livigno is magic).

(POST PUBBLICATO LA PRIMA VOLTA il 2 febbraio 2019)