Lockdown e natura in Valtellina

13 Maggio 2020

Da quasi tre mesi abbiamo a che fare con un’emergenza sanitaria senza precedenti per la società moderna e molte forze umane e professionali – prime fra tutte quelle di medici, infermieri, ricercatori e scienziati – si sono riversate nel garantire il diritto alla salute.
Nell’ultimo periodo, invece, in parallelo alla conta ancora drammatica dei morti, l’attenzione si è spostata sulla convivenza con il virus e sulle criticità dell’economia, per tentare di limitare il più possibile il fallimento di imprese, la disoccupazione e la povertà di alcune fasce della popolazione.
Ma c’è un altro aspetto della nostra vita che andrebbe riconsiderato quasi da zero: il rapporto che d’ora in poi vogliamo instaurare con l’ambiente che ci circonda. So che molti di voi, sentendo parlare di natura in questo momento storico, storceranno il naso. Tuttavia, è un argomento strettamente collegato alla quotidianità e allo sviluppo della pandemia stessa, ed è fondamentale considerarlo per arrivare a decisioni future che – si spera – siano forti e risolutive.

Riconquistare il proprio spazio
Ecco perché, per capire meglio il rapporto tra lockdown e natura sono andato a camminare in val Viola, in Valdidentro, a metà strada tra Livigno e Bormio. E l’ho fatto in compagnia di un agente della Polizia provinciale di Sondrio, Battista Silvestri, profondo conoscitore del vasto territorio dell’Alta Valtellina e del resto della provincia.
Lo scopo della chiacchierata è stato mettere in luce in che modo la natura – e in particolare la fauna alpina – abbia reagito al lockdown, come la nostra specie l’abbia sottomessa nei decenni precedenti e, soprattutto, come intendiamo affrontare il rapporto complicato ma vitale tra società moderna e ambiente.
Paradossalmente, nel periodo in cui l’uomo è rimasto chiuso in casa privato di alcuni diritti fondamentali, gli animali hanno ritrovato la loro piena libertà” mi ha subito confidato l’agente Silvestri, senza per questo sminuire il dolore causato dal coronavirus.
Ho notato una selvaggina tranquilla e meno stressata dalla presenza costante dell’uomo nel suo habitat, che spesso è sinonimo di invasione e aggressione. La mancanza quasi totale di rumore, traffico di automobili e attività lavorative e ludiche presenti in ogni angolo di montagna, ha permesso alla natura di riconquistare il proprio spazio.”
La selvaggina è così tornata a farsi vedere in luoghi prima inaccessibili – come i cervi arrivati fino a un ampio prato ricco di erba fresca che non frequentavano da anni – e che l’uomo aveva occupato per smania di fare, di pretendere, di avere.
In Valtellina come nel resto delle Alpi, e in montagna come al mare, l’ambiente è stato considerato troppo spesso qualcosa da domare e opprimere, mentre in pochi casi si è partiti dal concetto opposto, ossia di ritenerlo basilare per ogni scelta.
Mi addentro tutti i giorni nelle nostre valli” ha raccontato ancora l’agente Silvestri, le cui funzioni in questo particolare corpo della Polizia sono quelle della storica figura del guardiacaccia, “e se devo analizzare la conseguenza diretta e specifica del lockdown, è lampante che la natura ne ha tratto un beneficio enorme. Basti pensare al ritorno del silenzio, prerogativa della montagna autentica, o alla drastica diminuzione dell’inquinamento nelle sue varie forme.”
Tutte cose che, purtroppo, non sono più caratteristiche della montagna moderna, dove anche l’alta quota è diventata facilmente accessibile con ogni mezzo a motore e dove regnano la confusione, il cemento, gli stravolgimenti degli ecosistemi, la modifica del territorio, la sporcizia e l’assoggettamento a principi connessi essenzialmente al puro guadagno economico.

Trovare il giusto equilibrio
L’importanza della tutela della natura per il futuro dell’umanità va dunque considerata almeno per due motivi: il primo è che proprio questa pandemia, a quanto pare, è legata al nostro modo di vivere e rovinare l’ambiente, come ha dimostrato il libro Spillover, non a caso uno dei più venduti in queste settimane. Si tratta di un saggio di indagine scientifica che già nel 2012 sosteneva – e non per qualche potere esoterico dell’autore, bensì con dati alla mano – che ciò che è successo era largamente prevedibile e contrastabile. Infatti, è stata l’attività umana, intesa come invasione e distruzione degli habitat naturali, a scatenare l’epidemia di coronavirus, probabilmente iniziata da un pipistrello in una grotta.
Il secondo motivo, legato più nello specifico al rapporto che dovremo avere con il territorio che abitiamo, riguarda la necessità di un nuovo modo di vedere il turismo sulle Alpi, ossia dell’esigenza urgente di correggere l’intera modalità di fruizione della montagna, sia dal punto di vista dei residenti e sia dei turisti.
Una revisione totale in cui le scelte siano fatte in rispetto della natura e non in suo contrasto” dice ancora Silvestri, “perché è la natura la nostra vera ricchezza.”
In poche parole occorre trovare, dopo decenni di colpevole ritardo da parte delle istituzioni locali, il giusto equilibrio tra difesa dell’ambiente, esigenza di lavoro dei residenti e libertà di movimento dei turisti.

Contrastare l’ingannevole marketing del green
Tra l’altro, per l’agente Silvestri questo sarebbe stato un periodo di lavoro intenso sul censimento della selvaggina in tutta la provincia di Sondrio, che avrebbe riguardato ungulati, altri mammiferi e galliformi, in alcuni casi in collaborazione con i cacciatori del luogo.
A causa del coronavirus, però, il censimento è stato rinviato all’anno prossimo, quindi ci baseremo sui dati della scorsa primavera” conclude Silvestri. “Il nuovo censimento sarà fatto quando, lo spero davvero, l’emergenza non sarà più tale e magari la natura avrà tratto vantaggio da un nostro cambio radicale di mentalità.”
Ma su quest’ultimo punto, a differenza sua, io sono pessimista. O meglio, sono realista. Non credo che vedremo ancora a lungo i delfini nuotare nel porto di Genova, le meduse e i granchi esplorare i canali di Venezia o il cielo limpido sopra la pianura padana.
Nonostante le promesse della politica e le buone intenzioni delle multinazionali, a mio avviso l’unica speranza di un cambiamento reale sta nei singoli individui, nei piccoli gruppi di persone, nei professionisti illuminati o nelle associazioni virtuose che, senza proclami, mettono in pratica comportamenti responsabili e virano su uno stile di vita distante dal consumismo.
Solo in questo modo, forse, si arriverà a obbligare chi di dovere a cambiare rotta e, per esempio, a difendere la montagna dalla continua espansione edilizia, a incentivare i giovani a ripopolare i borghi, a rinunciare finalmente ai combustibili fossili e, più in generale, a sviluppare politiche fatte di contenuti e non di slogan. Perché non possiamo più accettare – anzi, dobbiamo contrastare – quel ridicolo, pomposo e ingannevole marketing del green, quasi sempre privo di sostanza ed efficacia, in cui sguazzano orde di amministratori mediocri allo scopo di farci credere di avere a cuore la natura.

 

P.S. Ringrazio per la disponibilità il Corpo della Polizia provinciale di Sondrio e in particolare l’agente Battista Silvestri.

P.S. bis Sul rapporto tra coronavirus e sicurezza puoi leggere il post Livigno: un pomeriggio con la Polizia locale, mentre sulle speranze di un futuro migliore per l’alta montagna puoi leggere il post Che cosa sta imparando Livigno?

(La foto che accompagna il post è di Enzo Bevilacqua ed è tratta dalla pagina Facebook di Livigno is magic)