Un pomeriggio con la Polizia Locale

8 Aprile 2020

Una coppia passeggia beatamente sulla pista ciclabile, dirigendosi verso l’imbocco di via Freita. Appena si accorge della pattuglia della Polizia Locale presente alla rotonda della Casa della Sanità – uno degli snodi principali del paese – fa dietrofront e torna in fretta da dove era venuta.
Un lavoratore stagionale, pur non avendo con sé i documenti d’identità e nemmeno sapendo con certezza il nome della via in cui risiede, ha una ragione valida per essere fuori casa e i sacchetti della spesa sul sedile della sua auto ne sono la conferma.
Alla stessa rotonda, un uomo al volante di una station wagon prima rallenta per capire la situazione e poi accelera per provare a superare il blocco stradale. Ma il vicecomandante della Polizia Locale intuisce la mossa dell’automobilista e, interrompendo ciò che mi sta raccontando, gli va incontro obbligandolo a fermarsi. L’uomo non ha l’autocertificazione – non è un problema, la si può compilare sul posto – però le giustificazioni confuse che dovrebbero spiegare il perché non è a casa non convincono l’agente.
Così eccola qua, la prima sanzione del pomeriggio di cui sono testimone, che arriva dopo mezz’ora di controlli: Euro 373,34 per violazione delle misure imposte dal decreto del Governo del 25 marzo scorso.

Non dobbiamo abbassare la guardia
Volevo vedere con i miei occhi il lavoro che le Forze dell’ordine svolgono a Livigno in questo periodo. Volevo parlare con alcuni degli agenti che, come nel resto d’Italia, fanno da barriera al propagarsi dell’epidemia, grazie a un’attività serrata di controllo sulle persone che sono in strada ogni giorno.
Perché è palese che le Forze dell’ordine – dopo medici, infermieri, farmacisti e personale sanitario, i quali sono l’ultima e speriamo inviolabile fortezza a difesa della salute collettiva, oltre che i soggetti più a rischio – hanno un ruolo fondamentale per contribuire a contenere il contagio e a fare in modo che la luce in fondo al tunnel, oggi ancora debole, diventi più limpida con il passare delle settimane.
È per questo motivo che ho contattato il comando della Polizia Locale di Livigno, chiedendo di poter parlare con il comandante Franzini e di poter passare un paio d’ore in pattuglia con il vicecomandante Bergamo.
L’ho fatto per raccontare cosa succede nelle strade e soprattutto per veicolare ancora una volta il messaggio che sentiamo ripetere da più di un mese, ma che non mettiamo in pratica come dovremmo: quello di non uscire.
Il nostro compito è semplice” mi spiega il vicecomandante riassumendo in una frase il principio che sta alla base dei controlli, “ed è quello di rimandare a casa le persone con le buone o con le cattive.”
Poche parole per ribadire che a Livigno c’è ancora un po’ troppa gente in giro. E che anche se sentiamo parlare insistentemente di “Fase 2”, dobbiamo essere consapevoli che la benedetta “Fase 2” non è in programma né oggi né domani né dopodomani. Questo momento non è ancora arrivato. Anzi, questo è il momento di tenere duro e di farlo nei nostri appartamenti.

Troppi atteggiamenti irresponsabili
Il rombo inatteso di un aereo sospende il racconto di episodi successi in queste settimane, e sia io sia il vicecomandante guardiamo in alto, nel cielo azzurro che domina le montagne.
Mi domando che cosa ci fa un aereo quassù – ormai se ne vedono passare pochi – che aspetto hanno le persone a bordo, per quali ragioni si trovano in volo e, specialmente, quando potremo tornare a viaggiare.
Poi il vicecomandante riprende a parlare e mi spiega che gli agenti fanno decine e decine di controlli ogni giorno, divisi in turni che vanno dalla mattina alla sera; che stanno in strada, costantemente; che chiedono, ascoltano, spiegano, lasciano passare e, se è il caso, sanzionano; che sono di più gli adulti e gli anziani a non rispettare i divieti, rispetto ai giovani; che per i positivi al coronavirus sorpresi in strada è previsto l’arresto in fragranza; che gli agenti suonano ai citofoni delle persone obbligate alla quarantena per verificarne la presenza; e che al comando vengono svolti gli accertamenti sulle autocertificazioni e sul transito delle automobili grazie alle telecamere in paese.
Ma con un realismo spontaneo, il vicecomandante mi dice anche che questo lavoro complesso e paziente, purtroppo, non può evitare che alcuni continuino a disubbidire alle regole e al buon senso.
Come quel ragazzo che ha compilato l’autocertificazione con una tosse insistente più che sospetta, ma che non ha mai pensato di telefonare al proprio medico. O come quell’uomo che, per andare a fare la spesa, ha camminato in montagna per stare in giro un paio d’ore e che poi, una volta ripreso per il comportamento immaturo, ha sbraitato in malo modo contro gli agenti pretendendo di essere nella ragione. O come chi continua a fregarsene dei divieti di assembramento o del consiglio di indossare guanti e mascherina (ora diventato un obbligo, almeno nella nostra regione). Oppure, infine, come quel signore che con trentanove di febbre ha deciso di andare ugualmente al supermercato, dove poi è svenuto.

A Pasqua evitiamo spostamenti
Tra un accertamento e l’altro, tra la compilazione di un’autocertificazione e l’altra, il discorso si sposta poi sui rumors di un possibile arrivo, a Pasqua, di proprietari di seconde cose. Anche se, come in tutta Italia, sono previsti controlli accurati per evitare un piccolo e sciagurato esodo.
Da questo punto di vista siamo fortunati” mi spiega il vicecomandante. “Abbiamo le due dogane dove fermare chi vuole entrare. Ma, probabilmente, la cosa migliore sarebbero i blocchi al trivio di Fuentes. Vedremo. La cosa davvero importante è capire che dobbiamo restare a casa ed evitare di far aumentare i contagi.”
Mi tornano in mente le polemiche lette giorni fa su un altro paese turistico, l’austriaco Ischgl, che sarebbe stato uno dei focolai d’Europa del virus. Ripenso che anche noi, a Livigno, in Valtellina, in Trentino, in Valle d’Aosta e in generale in tutte le Alpi eravamo, a inizio marzo, nella stessa situazione di Ischgl: eravamo cioè possibili focolai d’Europa, con le montagne, i locali, i negozi e gli alberghi pieni di gente. Eravamo soprattutto un paese che non voleva chiudere niente. E non posso nemmeno dimenticare che Livigno e Bormio, il 7 marzo scorso, avevano fatto pubblicare sul Corriere della Sera una pagina intera per una pubblicità pessima e totalmente fuori luogo, in cui si invitavano i lombardi a venire in massa da noi.
Lo ricordo semplicemente perché tutti abbiamo fatto errori e perché tutti dobbiamo smettere di farne. Dobbiamo solo rispettare le regole, essere prudenti e aspettare.

Dire addio ai morti
Tornati in auto ci dirigiamo verso un paio di luoghi del paese a elevata socialità e associazionismo che, fortunatamente, troviamo vuoti.
In località Teola alcuni turisti proprietari di seconde case passeggiano nelle vicinanze del proprio domicilio: dicono di essere qui da fine febbraio o da inizio marzo e, mi chiedo, chissà se per scelta o se per essere stati sorpresi dalla chiusura definitiva dell’Italia, con il successivo divieto di spostamento tra comuni.
Infine, arrivati alla rotonda tra via Bondi e via Pontiglia, il vicecomandante parcheggia l’auto, scende con calma, si sistema meglio la mascherina sul viso e si spalma l’ennesima noce di gel antibatterico sui guanti in lattice. La precauzione non è mai troppa, in particolare quando si ha a che fare con qualcosa di invisibile.
Sta per iniziare un altro blocco stradale, con altre richieste di spiegazioni, altre valutazioni e, probabilmente, altre sanzioni. Così ringrazio per avermi concesso di seguire un pezzo del lavoro quotidiano delle Forze dell’ordine – un’esperienza per me inedita – saluto e mi dirigo a piedi verso casa mia.
Nel tragitto mi tornano in mente anche le parole del comandante Franzini, ascoltate nel suo ufficio la mattina precedente. Mi aveva mostrato i faldoni con le circolari e le precisazioni della Prefettura di Sondrio in merito alle disposizioni dei decreti: fogli e fogli che danno nuove interpretazioni alle norme e cercano di chiarire i comportamenti da tenere.
Per esempio in questi giorni” mi aveva detto, “riceviamo telefonate da stagionali che vogliono tornare al luogo di residenza, persone che non hanno più il lavoro o che non riescono più a pagare l’alloggio. Secondo noi possono andare, ma per averne certezza è meglio chiedere in prefettura.”
Questo è uno dei tanti effetti del cosiddetto lockdown, il confinamento presso un’area precisa. Ma c’è un altro effetto, ancora più drammatico, che ci riporta immediatamente ai malati gravi di coronavirus, a chi non ce la fa, ai defunti.
Anche a Livigno ci sono stati morti, come ovunque. Ma quello che spiazza, che turba e che fa ancora più male della morte in solitudine, figlia del periodo che stiamo vivendo, è un funerale in fretta e furia.
Sono stato ai funerali” racconta il comandante. “Ci sono stato per rispetto. Attorno a me solo pochi parenti e il prete. Qualche preghiera e un saluto veloce. Dieci minuti e poi via, tutto finito. Tutti a casa.”
Dire addio ai morti in questo modo è doloroso e, forse, non è nemmeno da cristiani, o da umani. Ma, purtroppo, in attesa che l’emergenza finisca non possiamo fare altrimenti.
Perché tutto questo, e tutto quello che ho raccontato, fa già parte delle nostre vite.

 

P.S. Ringrazio per la disponibilità il comandante Cristoforo Domiziano Franzini e il vicecomandante Christian Bergamo della Polizia Locale di Livigno.

(La foto che accompagna il post è di Enzo Bevilacqua ed è tratta dalla pagina Facebook di Livigno is magic)