Che cosa stiamo imparando?

21 Aprile 2020

L’articolo che segue è stato pubblicato sull’edizione cartacea del settimanale Centro Valle – Prima la Valtellina il 18 aprile 2020, ed è la versione rivista, ridotta e senza parolacce del post intitolato Che cosa sta imparando Livigno?, che invece avevo pubblicato su questo blog il 10 marzo scorso.

D’un tratto abbiamo scoperto di essere vulnerabili, difettosi. Ci siamo svegliati una mattina e, aperti gli occhi, abbiamo realizzato di vivere in un edificio pericolante, di camminare su un terreno franoso. Ci siamo resi conto che, di fronte a qualcosa di imponderabile, noi piccoli uomini non contiamo niente. Possiamo solo sbracciare, bestemmiare e lottare per restare a galla, mentre un’altra onda enorme ci spinge verso il fondo del mare.
Che ingenui. Eravamo convinti di vivere in un luogo – in una società – inviolabile e invincibile, dove la scienza, la tecnologia e la finanza avrebbero risolto qualsiasi sciagura ci fosse capitata. Invece quello che sappiamo adesso è soltanto di essere imperfetti e inadeguati e, soprattutto, di non essere Dio.

Noi siamo guasti. Il mondo intero è guasto, o perlomeno lo è la società occidentale in cui crediamo di vivere da intoccabili, impegnati come siamo a consumare risorse naturali, ad adorare oggetti insignificanti, a sacrificare tempo prezioso alla vita in nome di chissà quale impegno apparentemente indifferibile.
Allora, quando tutto ciò che stiamo vivendo sarà passato, quando il coronavirus non sfuggirà più al calcolo umano e non sarà più indeterminabile e imprevedibile, quando la nostra vita sociale ed economica sarà tornata alla normalità, noi, per quel benedetto giorno, che cosa avremo imparato? Da dove ricominceremo?
Perché è palese che altre emergenze sono sbucate da dietro l’angolo già da diverso tempo – i cambiamenti climatici, lo sfruttamento esagerato del territorio, il peggioramento costante dei servizi ai cittadini, lo stile di vita perennemente sottomesso al lavoro – e perciò, passata la primavera, dovremo avere l’umiltà e l’intelligenza di affrontarle come si deve, queste altre emergenze, ricominciando magari da un modello di società virtuoso e non più vizioso, dove torneranno finalmente a contare la sobrietà e la semplicità, il rispetto degli altri e di noi stessi. Soprattutto, dove tornerà a contare il valore dei sentimenti tra le persone e non più il valore delle cose che possediamo.

Ma è più probabile che, come se nulla avesse mai intaccato le nostre certezze, presto ci rimetteremo a rincorrere il passato recente per continuare a camminare sullo stesso sentiero di sempre. E purtroppo finirà che torneremo a pensarci inviolabili e invincibili, a rituffarci nel lavoro senza pensare ad altro, a comprare oggetti, a permettere di imbruttire l’ambiente in cui viviamo. A ricominciare a parlare a vanvera di eccellenza, bellezza del paesaggio, rispetto per la natura, attenzione per la famiglia, valorizzazione della montagna, cioè a parlare a vanvera di tutto quello che ci piacerebbe avere e che invece, dato che ormai è tardi e forse nemmeno meritiamo, non riusciremo mai a ottenere davvero.

(La fotografia che accompagna il post è tratta da internet)