Che cosa sta imparando Livigno?

10 Marzo 2020

D’un tratto abbiamo scoperto di essere fragili, vulnerabili, difettosi. Abbiamo capito di non poter fare nulla per fermare la valanga che ci sta travolgendo: né scappare, né chiamare aiuto, né fare barriera, né nascondere l’evidenza. Ci siamo svegliati una mattina e, aperti gli occhi, abbiamo realizzato di vivere in un edificio pericolante, di camminare su un terreno franoso, di avere l’efficacia difensiva di un’arnia presa d’assalto da un orso.
Ci siamo resi conto di non poter fare niente per fermare tutto questo e che, di fronte a qualcosa di imponderabile, noi piccoli uomini indifesi non contiamo proprio un cazzo. Possiamo solo sbracciare e bestemmiare e trattenere il fiato e lottare per restare a galla, mentre un’altra onda enorme ci travolge e ci spinge verso il fondo del mare.

Che ingenui. Eravamo convinti di vivere in un luogo – in una società – inviolabile e invincibile, dove la scienza e la tecnologia e la finanza avrebbero risolto, in brevissimo tempo e senza sudare, qualsiasi sciagura ci fosse capitata tra capo e collo. Invece no. Invece quello che sappiamo adesso è soltanto di essere imperfetti e inadeguati e, soprattutto, di non essere Dio. Sì, proprio così. Noi non siamo Dio. Un concetto semplice che – contradditemi pure se sbaglio – ora abbiamo capito davvero.

Noi siamo guasti. Il mondo intero è guasto, o perlomeno lo è la società occidentale in cui crediamo di vivere come intoccabili. E, di conseguenza, non può che essere guasta anche la nostra piccola cittadina di montagna costantemente indaffarata a dar retta soltanto al business milionario del turismo.
Noi – e per noi intendo appunto noi livignaschi che facciamo parte eccome di questo modello economico pieno zeppo di falle, noi che siamo uno degli esempi mondiali di come si sottomette la montagna e la vita dei suoi abitanti al turismo di massa, noi che negli ultimi decenni abbiamo sguazzato nel nostro successo facendo di tutto per gonfiarlo all’ennesima potenza, noi che diamo per scontato che in questo successo ci sguazzeremo per sempre senza crisi e senza passi falsi, con la nostra megalomania e la nostra voglia di crescere a ogni costo ed espanderci ancora in lungo e in largo – noi, dico noi livignaschi, all’improvviso ci siamo accorti di essere guasti. Non più inviolabili e invincibili, no. Guasti, cazzo. Guasti! Perché guasto è il modello su cui si basa il nostro successo di località turistica di montagna.

Allora, quando tutto ciò che stiamo vivendo sarà passato, quando il Coronavirus non sfuggirà più al calcolo umano e non sarà più indeterminabile e imprevedibile, quando la nostra vita sociale ed economica sarà tornata alla normalità, noi, per quel benedetto giorno, che cosa avremo imparato? Che cosa avrà imparato Livigno? Da dove ricominceremo, lo sapete? Eh, da dove?
Dite pure quello che volete ma, per favore, per favore vi prego non rispondetemi che ripartiremo dallo stesso cazzo di modello instabile e pericoloso e superficiale e spesso fuorilegge che ci ha guidato fino a oggi, eh? Non ditemelo, per favore. Non lo sopporterei, cazzo.
No, perché è sotto gli occhi di tutti che altre emergenze sono sbucate da dietro l’angolo già da diverso tempo – i cambiamenti climatici, la crisi degli sport invernali, lo sfruttamento esagerato del territorio e delle risorse naturali, la difficoltà a sostenere i costi smisurati del circo “Vacanza in montagna”, il peggioramento costante dei servizi ai cittadini, la brutta abitudine di vivere perennemente tra mucchi di debiti con le banche, lo stile di vita sottomesso al lavoro – e perciò, credo, passato l’inverno e la primavera dovremo avere l’umiltà e l’intelligenza di affrontare come si deve queste altre emergenze, ricominciando magari da un modello di turismo dolce fatto di scelte coraggiose, limitate e incisive, e non più aggressivo e di massa, cioè un turismo finalmente virtuoso e non più vizioso, che faccia bene prima di tutto ai livignaschi e non solo ai turisti.

Sennonché anche io, come voi, non sono un ingenuo. E purtroppo è molto più probabile che fra qualche mese, come se nulla fosse successo e come se nulla avesse mai intaccato le nostre certezze, ci rimetteremo a rincorrere il passato recente e a completare la fatale e ormai inevitabile trasformazione totale di Livigno da Piccolo Tibet a Piccola Las Vegas, nuova definizione che tempo fa ho sentito uscire dalla bocca di un musicista valtellinese appena conosciuto e che trovo azzeccatissima e condivisibilissima, per buona pace dell’autore Alfredo Martinelli che, invece, a metà degli anni Sessanta pare avesse dato al paese il soprannome appunto di Piccolo Tibet in ragione delle sue caratteristiche geomorfologiche, in parte simili a quelle himalayane.

Così, fra non molto, nella nostra ricca e luccicante Piccola Las Vegas torneremo a pensarci inviolabili e invincibili, a sbrodolare numeri e percentuali di crescita, a inseguire incassi sempre maggiori, a parlarci addosso dicendoci quanto siamo bravi in fatto di turismo, a continuare ad affidarci a un marketing di bassa leva e menzognero, a rituffarci nel lavoro senza pensare ad altro, a costruire decine e decine di nuovi edifici anche se non più alti di tre piani (come se questo principio bastasse a salvare il territorio, cioè la nostra vera ricchezza) e, soprattutto, a ricominciare a parlare a cazzo di eccellenza e bellezza del paesaggio e rispetto per l’ambiente e natura e attenzione alla famiglia e pace e storia locale e tradizioni di montagna e sostenibilità ambientale, cioè a parlare a cazzo di tutto quello che ci piacerebbe avere e che invece, dato che ormai è troppo tardi e probabilmente non meritiamo, non riusciremo mai ad avere davvero.

(La fotografia che accompagna il post è di Enzo Bevilacqua ed è tratta dalla pagina Facebook di Livigno is magic)