2. Sole. Diario da una vigna

5 Marzo 2021

Venerdì 26 febbraio 2021

Lo sa bene anche Bayo: le settimane più fredde dell’inverno sono alle spalle.
Lui viene dal Senegal, è arrivato in Valtellina otto anni fa e subito ha trovato lavoro in vigna. È uno delle migliaia di stranieri che ogni giorno, in Italia, si riversano nei campi coltivati come un tempo facevano i contadini del posto. Ed è uno dei tanti stranieri che lavorano nelle vigne valtellinesi, a mezzacosta, per la fortuna delle case vinicole e del nostro territorio, da secoli modellato e curato proprio per favorire la coltivazione dell’uva.
Il Natale scorso, prima di ricominciare la stagione di potatura, Bayo ha fatto il grande passo: far venire a Tirano la moglie e il figlio undicenne.
Però ho scelto il periodo peggiore” mi confida sorridendo. “Quando sono arrivati nevicava forte e faceva freddo. Non erano mai usciti dal Senegal e per loro non è stato facile fare un cambiamento così grande. Per fortuna adesso è tornato il sole e fa un po’ più caldo. E anche loro stanno meglio.”
Bayo indossa con fierezza una polo nera a maniche corte, pregna della polvere e degli odori del lavoro all’aria aperta; in bella vista, sul petto, c’è il logo dell’azienda vinicola Plozza.
Immagino che quel logo – per noi occidentali un semplice marchio che rende riconoscibile un prodotto – per lui sia un simbolo di riscatto, di sacrificio, di opportunità desiderate e trovate lontano da casa.

Bayo, 37 anni, viene dal Senegal

Ascolto la storia di Bayo mentre la squadra operai è impegnata nella legatura. Si tratta di curvare con delicatezza il tralcio che dà origine al frutto, legandolo al filo orizzontale più basso che scorre lungo i filari, tra un palo e l’altro.
La legatura, pensata per favorire lo sviluppo verticale delle gemme, è un lungo lavoro fatto a mano, che richiede pazienza e soprattutto attenzione: è fondamentale non spezzare i tralci quando vengono curvati. Questo dipende dalla forza che ci si mette, dalla resistenza del tralcio e dal clima della notte precedente: se c’è stata aria umida il rametto è flessibile, mentre con aria secca è fragile.
L’operazione di legatura si conclude fissando il tralcio al filo con un legaccio leggero ma resistente, che gli operai maneggiano con maestria. Sembra quasi di assistere a un gioco di prestigio: le dita della mano, avvolte in paio di guanti, afferrano l’estremità del legaccio arrotolato nel marsupio alla cintura dei pantaloni; le stesse dita lo attorcigliano velocemente per unire il filo del filare al tralcio, senza stringere troppo; poi fanno un nodo e tagliano il legaccio con un attrezzo che gli operai – in una lingua tutta loro, forse nata per abbattere la barriera delle differenze culturali e sociali che li contraddistinguono – chiamano simpaticamente firlifurli; infine, le dita passano alla vite successiva, accarezzando il tralcio per saggiarne la consistenza prima di curvarlo con movimenti sempre uguali a loro stessi.

Sole, sassi e muretti a secco

Anche oggi mi trovo nella zona di Tirano, vicino alla frazione di Baruffini. La vigna è avvolta dal silenzio e dal primo caldo di febbraio. Ogni tanto – quasi a disturbare la pace che si respira – dal fondovalle arrivano i rumori della città: la sirena di un’ambulanza, il rombo del motore di una moto da cross, le urla dei bambini che giocano in un parco.
Andrea, il capo operaio della squadra, avvisa che fra cinque minuti ci sposteremo nella vigna di San Giuseppe, poco più sopra, lungo la strada per Baruffini.
Abbiamo un nome per ogni vigna” mi spiega Andrea. “Alcuni sono inventati da noi, come questa dove ci troviamo adesso che abbiamo chiamato Vignina; altri sono il nome del vecchio proprietario o fanno riferimento alla zona in cui si trovano.”

Giunti alla vigna di San Giuseppe, meno impervia della precedente ma sempre in discreta pendenza, mi siedo sugli scalini in cemento che portano ai vigneti. Apro il taccuino e prendo appunti.
Alle mie spalle, oltre il bosco di betulle e castagni, si intravede il cappello innevato del monte Masuccio, con i suoi 2.800 metri abbondanti di altitudine. Poco fa, dopo aver parcheggiato l’auto, all’incrocio di una mulattiera mi sono incantato a guardare i cartelli del CAI relativi ad alcuni sentieri della valle. Da qui, cinque ore di cammino per il rifugio Schiazzera: fantasticando, ho pensato che ci sarei potuto arrivare entro sera, trovando riparo per la notte nel bivacco invernale del rifugio.

Parte del versante retico a Tirano

Prima, al mio arrivo in Vignina ho conosciuto anche Luca, l’enologo dell’azienda. È un giovane brianzolo che da un anno vive a Tirano, con esperienze precedenti nel settore. Oggi, in base alle necessità di lavoro, fa la spola tra la Valtellina e la zona di produzione del Franciacorta, dove Plozza ha altri vigneti.
Ecco un piccolo insegnamento che colgo dalla mia seconda scorribanda in vigna: l’agricoltura ha futuro, non solo passato. Quassù non lavorano unicamente stranieri con poche alternative o uomini liberi che hanno scelto di fare questo mestiere. Ci sono anche giovani come Luca, o come Marco e Kevin, che hanno deciso di seguire la passione che covava dentro di loro, fatta di natura, aria aperta, fatica e mani che si sporcano. Una dimostrazione – forse piccola, forse non esaustiva – di una nuova generazione che vuole tornare alla terra e alle cose essenziali della vita.

Luca mi racconta molte curiosità sulla crescita e la cura della vite. È preparato e disponibile. Allora gli chiedo spiegazioni sui rami potati che ricoprono il terreno, per capire se hanno una qualche utilità.
La maggior parte li dobbiamo lasciare a terra” dice. “Non avremmo il tempo né gli uomini necessari per pulire a dovere tutte le nostre vigne. Dove si può entriamo con un trattore che raccoglie i rami e li trincia, oppure riuniamo a mano i pezzi ingombranti per poi smaltirli. Ma il grosso lo lasciamo giù, anche perché non si può più bruciare il legno sul posto.”
Magari fanno da concime?” chiedo.
In parte sì, dato che con il tempo si decompongono nel terreno. E in parte fanno da copertura, evitando che le erbacce crescano troppo in fretta.”
Beh, a dire il vero non è che proteggano più di tanto” interviene Andrea. “La vegetazione si fa largo comunque, anche se ci sono impedimenti. Vedrai che cambiamento ci sarà fra qualche mese” aggiunge divertito indicando i vigneti che, a perdita d’occhio, si estendono sul versante retico. “La natura vince sempre.”

CONTINUA…

(Ho scattato personalmente le immagini che accompagnano il post. L’ho fatto con un semplice telefono cellulare e di questo chiedo scusa ai veri fotografi)

Leggi anche i post precedenti:
1 Rinascita. Diario da una vigna
Diario da una vigna

La Vignina, vicino a Baruffini