1. Rinascita. Diario da una vigna

19 Febbraio 2021

Venerdì 12 febbraio 2021

Uno stormo di gracchi alpini sembra seguire i movimenti degli uomini che sono al lavoro in vigna. E quando Andrea, il capo operaio della squadra della casa vinicola Plozza, decide che è il momento di emigrare nella vigna adiacente, anche gli uccelli – quasi fossero i guardiani di fatiche e gesti secolari – obbediscono all’ordine e con un volo circolare atterrano in un campo un poco più in quota, a beccare semi, briciole o altri residui commestibili.

Mi trovo sul versante di montagna delle Alpi retiche tra Roncaiola e Baruffini, due frazioni di Tirano, in Media Valtellina. Più su, da qualche parte nel fitto del bosco, immagino la dolce pendenza del Sentiero del Pane, che collega proprio le due frazioni e che, quasi due anni fa, ho percorso nel mio lungo viaggio a piedi attraverso la Valtellina.
Il sentiero porta questo nome perché in passato, quando la zona era coltivata a vite, segale e grano saraceno, gli abitanti di Roncaiola salivano al mulino di Baruffini con il grano che coltivavano e tornavano nella frazione con grandi quantità di pane.
Sono arrivato qui nel primo pomeriggio, d’accordo con Andrea, per iniziare a conoscere e raccontare alcuni aspetti del mondo del vino meno divulgati. In particolare, quelli che riguardano le persone che lavorano in vigna, il ciclo naturale della vite con le fasi della sua crescita, i riferimenti storici e le curiosità che da sempre contraddistinguono questa indispensabile attività agricola e imprenditoriale della provincia di Sondrio.

Una vigna moderna in falsopiano

I dieci uomini dell’eterogenea squadra operai – quattro italiani, tre africani, due rumeni, un albanese e un pakistano, alcuni giovani, altri di mezza età e uno vicino alla pensione – si muovono disinvolti e silenziosi tra i filari di vite, sia sui terreni in falsopiano sia sui pendii scoscesi. Hanno quella sicurezza tipica di chi conosce a menadito l’ambiente naturale in cui opera, in totale circa venti ettari di vigneti valtellinesi dell’azienda italo-svizzera; un ambiente che devono proteggere, curare e far prosperare, e che dà loro da vivere.

Oggi la giornata è fresca e grigia, e solo nelle ore centrali si può togliere la berretta dalla testa. Non posso evitare di pensare al freddo che patisce, in queste settimane, chi lavora all’aperto, come tutti loro. Immagino l’aria gelida delle 8:00 di mattina, quando attaccano, la temperatura che piano piano si alza regalando un po’ di tregua e infine l’ombra inospitale delle montagne che li accompagna fino alle 17:00, quando terminano la dura giornata di lavoro.
Al meteo ci si fa le ossa in fretta, si potrebbe pensare. E forse è davvero così. Però con il passare delle stagioni e degli anni, uno finisce per soffrirne. Stare all’aria aperta esige il suo tributo di stanchezza fisica e, ancor di più, mentale.
È proprio questa la prima cosa di cui mi rendo conto stando in mezzo a questi ragazzi e a questi uomini, anche se soltanto per un paio d’ore, prima di rifugiarmi nel caldo dell’abitacolo della mia auto; mi rendo conto delle tante difficoltà – miste ad altrettante soddisfazioni – che si nascondono dietro ogni sorsata di vino che beviamo in soggiorno, comodamente seduti sul divano, o che degustiamo al ristorante assecondando il consiglio di un sommelier.

Il lavoro di potatura

Avrei voluto seguire il lavoro della squadra di Plozza da fine ottobre, nel momento in cui è iniziata la potatura, ma a causa delle zone rosse e arancioni dovute al lockdown per la pandemia da Covid-19, non ho potuto farlo. Questa è la prima volta che vengo in vigna e il mio arrivo è coinciso proprio con la fine della potatura e l’avvio della legatura.
In questi tre mesi e mezzo, dunque, anche se non a pieno regime in fatto di numero di uomini in forze, gli operai hanno lavorato manualmente – come cent’anni fa – alla rinascita della vite, servendosi dei classici attrezzi del mestiere come forbici, cesoie e piccoli seghetti.
È stata la fase della potatura secca, ossia quella che avviene in autunno e in inverno, di fondamentale importanza per la corretta gestione del vigneto, la sua resa e la qualità dell’uva che si svilupperà fra qualche tempo.

 


Mentre gli operai proseguono il lavoro certosino su ogni vite, piegando la schiena verso il basso e muovendo le mani con gesti automatici, io mi inoltro nei vigneti attorno ed esploro la zona camminando con cautela su sentieri ripidi e stretti o, tra una vigna e l’altra, sui gradini in pietra che mi portano al terrazzamento superiore.
Apro il portone in legno di un paio di bait, le piccole costruzioni oggi abbandonate che servivano come deposito attrezzi o per la raccolta dell’acqua piovana necessaria ai trattamenti della pianta, poi mi siedo su un masso a prendere appunti.

Non lontano da dove sono scorgo un muro a secco crollato e un terreno pieno di erbacce. Più in là, invece, ci sono altre viti ancora a riposo, in attesa della potatura e, lasciando che lo sguardo si perda in lontananza a destra e a sinistra, non distinguo altro che vigneti.
Allora penso che quassù, non così distante dal fondovalle dove si svolge la gran parte della vita economica e sociale di noi montanari del nuovo secolo, c’è tutto un altro mondo, un’altra esistenza, un’altra natura, un’altra realtà; un mondo – e un’esistenza e una natura e una realtà – che quasi non conosciamo, che fatichiamo persino a immaginare e verso il quale, purtroppo, nutriamo spesso un colpevole disinteresse.

CONTINUA…

(Il breve video sulla potatura e le fotografie che accompagnano il post sono di Andrea Panighetti e raccontano il lavoro quotidiano in vigna)

Leggi anche i post precedenti:
Diario da una vigna

 

Panorama sulla media Valtellina