Una passeggiata di 400 chilometri

4 Agosto 2020

Avevo preparato il racconto che segue per una famosa rivista di montagna che, nel dicembre scorso, l’aveva espressamente richiesto all’editore del mio libro Il mio viaggio in Valtellina.
Purtroppo, per motivi a me sconosciuti, l’articolo non è mai stato pubblicato sulla rivista, né tantomeno il direttore ha dato spiegazioni in merito. Così, lo ripropongo ora sul mio blog: si tratta un riassunto della mia esperienza di viaggio a piedi attraverso la Valtellina del maggio 2019. Un testo narrativo che, spero, faccia venire voglia di camminare ed esplorare il territorio vicino a casa. E anche di leggere il mio libro…

UNA PASSEGGIATA DI 400 CHILOMETRI
Salgo in camera da letto a dare un bacio e una carezza ai miei due figli e saluto con un misto di gioia e tormento mia moglie. Poi esco di casa come in una mattina qualsiasi, quando porto a passeggio il cane. E parto, semplicemente. Lo zaino pesante sulle spalle, le scarpe da trekking ben chiuse sulle caviglie, la berretta invernale a coprire la testa da poco rasata e l’animo predisposto a sorprendersi per i luoghi che vedrò e le persone che incontrerò. Mi diverte da matti l’idea di scendere le scale di casa per una passeggiata di quattrocento chilometri.
Quando inizio la salita da Livigno verso Trepalle, la prima del mio lungo cammino in Valtellina, sono ancora inconsapevole di ciò che sto cominciando ad affrontare; so soltanto che è arrivato il momento di mettere un piede davanti all’altro, e camminare.
È inizio maggio, ma intorno a me tutto è bianco: il terreno, i rami degli alberi, il cielo. Solo le rocce e i piccoli torrenti sono liberi dalla neve e l’acqua scorre calma in attesa del disgelo. Questa è l’Alta Valtellina, prendere o lasciare. Qui nevica perfino in estate, figurarsi in tarda primavera.
Ci impiego poco. Anzi, è il cammino che impiega poco a guidarmi verso quel senso di libertà che solo la fatica e il piacere di un’attività all’aria aperta sanno dare. Presto mi sento già sprofondato nello stato mentale di cui ho tanto letto nei mesi scorsi, e che tutti i viaggiatori hanno provato nel loro peregrinare.
Fin da subito, il cammino mi presenta uno dei suoi elementi: l’improvvisazione. Devo usare l’istinto per trovare strade alternative a quelle programmate. In quota c’è ancora troppa neve per passare in sicurezza. Il viaggio immaginato e fantasticato dal divano è sempre diverso da quello reale. Ma, ovviamente, quello reale è migliore. Gli imprevisti, gli errori, gli incontri casuali e la curiosità irrefrenabile che porta a un sentiero ignoto, in cui trovare qualche cosa di inaspettato, fanno parte della straordinarietà di un cammino almeno quanto la bellezza degli ambienti che si attraversano.
Come per ogni lungo viaggio a piedi, i primi giorni sono i più duri. Le serate sono disturbate da una stanchezza inconsueta e il sonno è molestato da dolori mai provati. La fatica fisica e mentale, almeno all’inizio, prevale su ogni sentimento. Ma l’entusiasmo della partenza e il desiderio di avventura mi aiutano a macinare i chilometri.
D’un tratto, mentre mi inoltro nei boschi della Valfurva per tornare a Bormio e poi proseguire in direzione di Sondalo e Grosio, dove cercare la deviazione per il Sentiero del Sole, mi rendo conto che devo solo resistere. Devo solo andare avanti. Capisco che, per camminare, più che le gambe serve avere tanta pazienza: è una questione mentale. L’impazienza non può essere amica di un viandante.
Sono sicuro che quando arriverò alla chiesa di Santa Perpetua a Tirano e imboccherò il primo dei settanta chilometri della Via dei Terrazzamenti, le sofferenze del cammino saranno soppiantate dal godimento puro del paesaggio e dallo stato di estasi in cui mi condurrà la strada. E laggiù niente spaventerà il mio fisico e la mia mente. Né i gradini tra i vigneti, né i borghi lasciati a morire nel silenzio, né le lunghe mulattiere per aggirare un promontorio, né i boschi fitti con gli alberi schiantati, né la pioggia insistente o il primo caldo della primavera.
Perciò ogni mattina, quando mi alzo dal letto che mi ha ospitato, ho solo voglia di ricominciare a camminare. Di continuare a conoscere meglio la Valtellina, la terra in cui sono nato e cresciuto, e che conosco troppo poco. Ho solo voglia di affacciarmi a nuove finestre, nuove storie e nuove montagne come quelle della Valmalenco, della Val Masino e della Costiera dei Cech; di lasciarmi sedurre da paesaggi quasi del tutto inediti, come se qualsiasi luogo, vicino o lontano, mi appartenga.
Quando le Alpi Retiche finiscono, almeno per me, è arrivata l’ora di svoltare. A Dubino attraverso l’Adda e mi porto ai piedi delle Alpi Orobie. Inizio la lenta risalita verso casa e scopro una Valtellina più selvaggia, più severa, più faticosa. Mi avventuro in val Gerola, ritorno a valle, respiro serenità, cammino sul Sentiero Valtellina ed esploro i centri storici dei paesi che mi vengono incontro.
Comincio a comporre il mio puzzle. A intuire che la montagna e la natura sono belle in quanto tali. Non dipende dal territorio in cui si trovano, loro sono belle sempre. A prescindere. Siamo noi che le stiamo imbruttendo, che le stiamo rovinando. Anzi, che le abbiamo già rovinate. Con l’illusione dell’edilizia delle seconde case, con i disastri del turismo di massa, con la crudele trasformazione dei paesi in cittadine, con il triste spopolamento della mezzacosta, con la costruzione di strade più larghe per salire in quota, con il relegare le tradizioni montanare in un museo.
I vizi della società globale, il consumismo esasperato e il modello cittadino hanno colonizzato troppa montagna, troppa natura. In Valtellina come nel resto delle Alpi. Ne hanno estirpato quasi del tutto l’autenticità e le hanno lasciate nude e indifese, con il rischio di smarrirne l’identità. Inevitabilmente, di questo passo ci resterà sempre meno montagna e sempre meno natura.
Quando passo dal capoluogo, scopro che riesco a vedere con occhi diversi tutto quello che mi circonda. Adesso ho un paio di occhi nuovi che mi aiutano a mettere in ordine i pensieri e la coscienza. Allora vado avanti rinfrancato e mi lascio alle spalle i tanti paesi del fondovalle nascosti agli occhi distratti di chi percorre la Statale 38 in automobile. Poi salgo a Carona in direzione della val Belviso, arrivo a l’Aprica e ridiscendo in picchiata verso Tirano.
Lungo la strada incontro tanti valtellinesi a cui, dopo aver ascoltato i motivi che mi hanno convinto a camminare, brillano gli occhi di un orgoglio sincero verso la nostra terra. Giudico il luccichio come una sorta di ammirazione non tanto per me, ma per l’idea che ho avuto, riassumibile in un concetto semplicissimo: scoprire da vicino, dal di dentro, i luoghi della terra cui si appartiene.
Ancora pochi giorni e sarò dalla mia famiglia. Da mia moglie e dai miei figli. Comincio a sentirne la mancanza. Nei boschi fitti del Sentiero dei Castelli, intervallati da distese di meleti e centri storici puliti e timidi, penso a loro continuamente. Mi aggrappo ai ricordi del passato e all’attesa del futuro per allontanare la malinconia che nasce nel silenzio della Media Valtellina.
Al Parco delle Incisioni Rupestri di Grosio, a una cinquantina di chilometri dalla fine del mio viaggio, intuisco come l’identità della Valtellina non si trovi nelle località turistiche alla moda, tra i capannoni lungo la strada statale, nella compravendita che esalta la viticoltura eroica o nelle immagini patinate che scorrono in internet. La Valtellina autentica, per come la percepisco io, è quella orgogliosa delle proprie rughe, è quella tenace dei muretti a secco, è quella che si prende cura del territorio. È quella che abita in quel residuo di mondo semplice e genuino – rurale, turistico o finanziario – che resiste ai concetti più stupidi della modernità.
Così, quando finisco di comporre il puzzle, sul mio viso torna a soffiare decisa l’aria fresca dell’Alta Valtellina. Supero Bormio e la Valdidentro, e al passo d’Eira di Trepalle realizzo che non ho più salite da affrontare. Solo una breve discesa mi divide da Livigno. E quando laggiù, oltre il bosco di larici, intravedo casa mia, sono ancora più felice di quando sono partito.

(Ho scattato la fotografia che accompagna il post lungo il sentiero dei Castelli tra Tirano e Grosio, in media Valtellina)