“L’uomo che guardava passare i treni”

20 Marzo 2020

Doppia lettura, per questo romanzo di Georges Simenon uscito nel 1938. La prima tantissimi anni fa, dopo che, a un seminario di scrittura creativa, lo scrittore Diego De Silva lo aveva analizzato in ogni suo aspetto, in modo da insegnare ai partecipanti come si scrive, come si gestisce una storia e come si dà vita e credibilità ai personaggi.
La seconda lettura, invece, è molto più recente e l’ho terminata poche settimane fa, dato che L’uomo che guardava passare i treni – pubblicato in Italia da Adelphi, come tutta la produzione di Simenon – era il libro protagonista dell’incontro di febbraio in biblioteca del Gruppo Lettura di Livigno.

In entrambi i casi l’esito è stato più che positivo. E non solo perché l’autore belga è uno dei miei scrittori preferiti, ma perché questa storia noir mette in luce più di altre le contraddizioni profonde di un certo modo di vivere e di intendere la vita nella società occidentale.
Infatti, benché il romanzo ambientato in Olanda e a Parigi sia stato scritto tra le due Guerre Mondiali, quindi più di ottanta anni fa, saltano subito all’occhio del lettore come il conformismo e la morale borghese che più o meno tutti adottiamo anche oggi come modello di esistenza, in realtà siano soltanto una maschera mal riuscita, un rifugio precario, un’ubbidienza fragile al bisogno di non deludere e di non entrare in conflitto con le altre persone.
E questo è proprio tutto ciò che ha sempre vissuto il protagonista di L’uomo che guardava passare i treni un impiegato qualunque di nome Kees Popinga – almeno fino al giorno in cui il suo capo gli svela che la ditta per la quale tiene i conti economici è fallita.
Da quel momento Popinga si trasforma, e da rispettabile padre di famiglia diventa un assassino paranoico, tanto folle quanto lucido e ingenuo.

Come sa fare spesso, Simenon stupisce per la capacità di trasmettere le infinite sfaccettature della personalità dei suoi indimenticabili personaggi e di trasformare una storia di apparente normalità in una tragedia umana che, anche nelle nostre vite, è sempre in agguato. Spetta a noi – al nostro equilibrio psicologico – scacciarla a malomodo per non farci trascinare in strade senza uscita.